>>> Intervista con Andrea Mautino, nuovo direttore artistico del Centralino e Superpippo, promoter storico di Torino <<<
Fondato nel 1975, Centralino da più di trent'anni è una delle istituzioni della club culture Torinese, avendo ospitato tra le serate e gli artisti più innovativi della scena elettronica, nonché essendo stato la culla di uno dei party gay più duraturi d'Italia
CF: Come nasce l'amore di Superpippo per i club?
SP: Ho avuto la fortuna che mia sorella per andare a ballare doveva portarmi con lei, quindi a 10 anni mi ricordo i dischi della discomusic, e da lì il mio amore per i club. Ho cominciato a frequentare i locali a fine anni Ottanta: allora la scena gay era quasi finita, annientata dal periodo buio dell’AIDS. A quel tempo ero un ragazzino e tutti mi dicevano: “non andare nei locali che non trovi nessuno e quelli che trovi sono malati, non toccare neanche le porte”; ricordo che finivo per spingere la porta d’ingresso con il gomito. Non c’era allegria. I club che proponevano le serate gay erano quelli che non andavano bene, perché quelli di tendenza non si sarebbero mai presi il rischio. Se facevi la serata gay comunque eri marchiato.
CF: E invece com’era il resto della città?
SP: Frequentavo lo Studio 2 ed è lì che ho preso i primi contatti per poi iniziare a fare la mia serata, ricordo ancora la data del mio debutto all’Area (poi diventato Barrumba): 10 Novembre 1991. Lo Studio 2 aveva un'attitudine house di tendenza, lì ci potevi trovare le personalità più trendy, ma a parte quello c’era proprio poco altro nel panorama dei club. All’opposto trovavi la scena dei centri sociali, con realtà come El Paso che erano assolutamente all'avanguardia per quanto riguarda la musica. Quando parli di club non bisogna mai dimenticarsi la storia e l’identità delle città dove gli spazi nascono e si sviluppano, e in questo senso Torino era una città operaia, grigia, frustrata. E come a Detroit, Manchester e tante altre, in questo contesto si erano sviluppate identità estreme, working class e molto punk. Ho particolarmente vivo il ricordo di questa popolazione più punk, che si ribellava, che reagiva, si vestiva in maniera estrema, usciva di notte. Da queste tensioni e frizioni è poi venuta fuori una città molto forte sul piano creativo.
CF: Qual era la funzione dei club all’interno di questa città operaia?
SP: La discoteca una volta era una piazza, un punto di ritrovo fondamentale, perché allora non avevamo altre soluzioni, niente social media o altro. E con punto di ritrovo non intendo solo per baccagliare e trovare un partner, il club era dove cercavi persone a te affini. Queste piazze di ritrovo avevano un nome, un colore, una personalità, e questo voleva dire che se non eri ammesso all’ingresso in qualche modo non eri ammesso nella società. In molti posti si faceva selezione severa, e, se non rispettavi i canoni di stile o di estetica, rimanevi fuori. Io sarei stato uno di quelli lasciato fuori nei club, perché tanto bello non ero. Torino aveva un po’ questa doppia anima, c'era la Torino bene, ricca e trendy e poi una città più operaia, che spesso rimaneva fuori dai club: questa sensazione di discriminazione mi ha portato a pensare una serata aperta, che facesse scoprire la notte e la discoteca a tutti. Con quella techno che allora era un po’ snobbata, meno elitaria, con un suono crudo, animale.
CF: Quali sono stati i momenti che hanno definito di più la tua esperienza con i club?
SP: All’inizio questo non era il mio lavoro, aiutavo mio padre che faceva il macellaio, quindi figurati. Nel ‘91/’92 conosco Gigi D' Agostino, lo vedo suonare in un bar e gli chiedo di venire a fare il resident alle nostre serate, dove è stato fino al ‘96/’97: mi ricordo che da noi presentò Elisir e poi partì con l’Amour Tojour diventando poi famoso in tutta Italia. Quindi dal 91 inizio a organizzare serate gay e da allora non mi sono mai fermato: Bananamia il venerdì e poi il party che sarebbe diventato la Zoccola la domenica. Altre mie esperienze formative sono state il Palace nel 93, e nel 94 l’Ultimo Impero per poi portare in giro per un paio di anni il format Le Voyage con Claudio Adogmata e Gigi D’Agostino. Quando lavoravo all'Ultimo Impero avevo 23 anni, ero molto incosciente e mi trovavo ad animare queste 5000 persone tutti i weekend. Nel ‘97/’98 mi sono reso conto che la techno era diventata più omofoba, molti ragazzini erano anche un po’ razzisti, e cominciavo ad essere l’obiettivo anche di insulti e commenti per strada. Quindi mi sono un po’ allontanato dalla techno e concentrato più sulle mie serate gay. Agli inizi 2000 c’era stato un forte cambiamento nella scena rave che in qualche modo si stava iniziando a spostare nei locali, ed è qui che è nato The Plug al Centralino il Sabato, mentre la Domenica abbiamo deciso di aprire la serata gay a tutti: è iniziato così il party Zoccola, con un’atmosfera bellissima. In quel momento la musica era straordinaria, l’electroclash era senza regole, molto forte, uno dei momenti più belli dell’elettronica che abbia vissuto. Se riesci a mischiare pubblico e generi musicali in modo grezzo, punk, come nel 2003 con l’electroclash, o con l’electro dei Justice e The Bloody Beetroots più avanti, riesci a creare nuovi modi di pensare e crei evoluzione. Cambi tutto!
“Mi dicevano: non andare nei locali che non trovi nessuno e quelli che trovi sono malati, non toccare neanche le porte”
CF: A proposito di omosessualità, mi sembra che la percezione del tema sia cambiata molto negli anni. Come le vedi le nuove generazioni?
SP: Li vedo sereni, vivono l’omosessualità meglio di un tempo e in questo senso il Centralino e i club hanno un ruolo aggregativo molto importante: un’adolescente di 16 e 17 anni che scopre altre persone omosessuali a una serata può confrontarsi, può riconoscersi e comprendere di non essere solo, scoprendo così la sua dimensione. I club hanno una funzione sociale molto forte, sono educativi, proteggono, intrattengono, emozionano. A Torino abbiamo lavorato sul normalizzare la scena, la community gay deve essere considerata normale. Spesso si continua a pensare al gay come qualcosa di particolare, diverso, strambo e alle serate gay come ad una specie di circo estremo, mentre parliamo di persone della società che vanno rispettate, in quanto persone come le altre. Se vai al Pride oramai ci sono persone “normali” che ballano e cantano sotto i carri, per me questa è una grande vittoria!.
CF: Qual è il ruolo di un club nel proporre una serata gay?
SP: Sicuramente abbiamo il compito di proteggere la comunità che frequenta le serate gay, perché anche solo avere quello che ride perché ti baci con un compagno è una cosa grave. Non ci sono alternative, in qualche modo in Italia abbiamo questo DNA un po’ cattolico e purtroppo molto retrogrado. Quindi le serate prettamente gay sono un po’ a porte chiuse, perché fare un party con una certa etica vuol dire non devi tradire la comunità con cui ti relazioni. La selezione l’ho sempre vista come la fanno a Berlino: non è una questione estetica, è una questione di preparazione. Se ti faccio entrare nel party mi sto prendendo una responsabilità verso il resto della comunità e devo essere il più sicuro possibile che tu sia preparato a quello che troverai nel club e a rispettarlo.
CF: E se posso chiederti, come promotore attivo di party da più di 25 anni, che rapporto hai con alcool e droghe?
SP: Personalmente non faccio uso né di alcool e né di droghe, non ne ho bisogno. Ricordo nel primissimo anno quando mi iniziavo ad approcciare a questo contesto e avevo scoperto l’ecstasy: pensavo fosse la soluzione ai miei problemi di disagio e solitudine come gay discriminato. Ho scoperto presto che ciò di cui avevo bisogno era supporto da una comunità, erano persone intorno a me che mi rispettassero e capissero. Se ci si imparasse a valorizzare e promuovere l’empatia e il supporto collettivo nei club, si ridurrebbe parecchio l’uso delle sostanze e i relativi problemi.
CF: Come cambiano le città, com’è cambiata Torino?
SP: Ora ci si chiede perché Milano stia facendo un sacco di cose, mentre Torino si sia fermata, non penso che sia legato solo al modo diverso di affrontare la crisi ma proprio ai percorsi delle città. Se pensi ad esempio a com’è cambiato il ritmo di Torino con quello che era più il popolo operaio che faceva i turni di pomeriggio/sera e che poteva permettersi di uscire la notte e dormire la mattina, con uno stipendio. Noi avevamo una buona fetta di pubblico operaia che ora non c’è più. Quindi bisogna sempre chiedersi cosa cambia nelle tendenze, negli orari e nel ritmo di una città che non è più regolata dalla fabbrica e quindi trova anche altri modi per esprimersi, ritrovarsi e sfogarsi. E poi bisogna chiedersi: se il concetto di notte è cambiato, che sviluppo possiamo dare alla nuova tendenza? Perché chiaramente ci sarà sempre il clubber che ha voglia di uscire il giovedì, il martedì, ma qui stiamo parlando di necessità più diffuse, stiamo parlando del bisogno del popolo. Sicuramente si può fare altro, magari abbiamo bisogno di cose più stimolanti a diversi orari di giorno.
CF: Certo, molti club si stanno reinventando per avere un’espressione anche più diurna con altre attività, a Londra ci sono party alle 7 di mattina senza alcohol o altro, non so dirti come fossero purtroppo non ce l’ho mai fatta!
SP: Chissà che gente c’era ahah! A livello cittadino, e questo scrivilo in maiuscolo, bisogna FARE SISTEMA: sarebbe meraviglioso. Molti hanno goduto della chiusura di altri locali, della chiusura dei party, perché si credeva che sarebbe poi arrivato più lavoro, ma invece non è stato così: meno attività ci sono e più velocemente muore il sistema, c’è meno alternativa, meno offerta e ti rompi le palle. Finisce che, sai che c’è non vado più a ballare, sto a casa e guardo Netflix.
AM: E poi diventi provinciale e si ha un impoverimento generale. Si perde l’idea. Sicuramente questo non è un momento felice per i club, la gente esce meno, c'è una guerra dei prezzi che sicuramente non aiuta, un'offerta al ribasso che non mette i gestori nelle condizioni di investire per innovare. Andrebbe reinventato il mondo della notte, tutt'altro che banale. Il sindaco della notte di Londra è molto forte, e ora ci sono anche in altri paesi d’Europa anche non così più estese e più forti rispetto a Torino.
CF: Verissimo! Alcuni addirittura danno la colpa alla musica, che ne pensi della musica attuale?
SP: Son sempre stato molto aperto a diverse tipologie di musica e in generale è sempre importante capire qual è l’effetto che i suoni hanno sul pubblico e come cambiano i trend. Nel 2006/2007 avevo intuito che il raggaeton poteva essere un’alternativa, fresca e poteva funzionaria per far funzionare le altre serate della settimana (mannaggia a me ho introdotto il raggaeton, guarda dove siamo finiti ahah), perché in fondo vedevo che era una musica che piaceva molto alle donne e portava un bellissimo pubblico, in quell’anno non trovavo altri stimoli. Oggi invece si parla molto male della Trap, ma in realtà sono solo nuovi beat, e come in tutti i movimenti ci sono artisti molti poveri e altri invece molto interessanti. Tutti all’inizio cercano di seguire il trend e copiano lo stesso stile, poi tendenzialmente i generi musicali si biforcano, si ibridano. Da questo punto di vista Post Malone ci può far capire tante cose, non siamo in una sorta di Medioevo culturale. Se senti Achille Lauro vedi quanto lavoro c’è dentro, è un progetto complesso. I movimenti artistici non devono fossilizzarsi, e ci sarà sempre qualcosa di buono e di meno buono a livello qualitativo.
CF: Ah certo! In quasi trent'anni ne hai visti di cambiamenti sia a livello musicale che di persone! Com'è il Centralino adesso?
SP: Sono stato molto fortunato e oggi la discoteca dove lavoro ha una gestione giovane, con le mie stesse passioni e visione del club. Hanno investito tantissimo nella struttura e migliorato il servizio, un buonissimo punto di partenza per un percorso positivo.
AM: Sono tanti anni che lavoro in questo settore, e mi è sempre piaciuta l’anima un po’ underground di questo locale che mi è sempre piaciuto un sacco. Poi abbiamo fatto lavori importanti, abbiamo raddoppiato il locale, per discorsi legati alla sicurezza, abbiamo alzato metri quadri e uscite di sicurezza, aggiungendo una sala. possono essere indipendenti, modulari, di cui la maggior parte è stata legata ai servizi, renderli più agevoli.
"A livello cittadino, e questo scrivilo in maiuscolo, bisogna FARE SISTEMA: sarebbe meraviglioso"
CF: Ma tu Pippo in che genere di musica ti identifichi?
SP: In nessuno! Non mi è mai importato essere identificato con un genere musicale. Ho sempre studiato i fenomeni e cercato soluzioni ai problemi, questa è la cosa essenziale! In fin dei conti voglio fare in modo che la club culture non finisca, perché io con questo lavoro ci voglio andare in pensione. Sono un po’ matto vero?
CF: No no, per me ha completamente senso, ma a parte la musica cosa c’è nel club. Cosa vuol dire per te fare questo lavoro?
SP: Bisogna ricordarsi che fare questo lavoro non vuol dire fare soldi, anzi spesso vuol dire forse non vederli, ma se ci credi, hai la passione e lo fai bene, puoi tornare a casa davvero felice. La serata per me non si ferma al dj set e all’artista, bisogna pensare a tutta la comunicazione, l'intrattenimento, l'illuminazione, la gestione della sala, il rapporto con i proprietari, c'è molto lavoro. Se ci si focalizza solo sulla proposta artistica, difficilmente si riesce ad innovare veramente, e rivoluzionare la notte. Chi lavora deve studiare tanto, deve capire i fenomeni, devi capire qual è l’identità di Torino, tanti negli anni l’hanno paragonata a Berlino, ma Torino è una città diversa. Il Comune di Berlino ha investito tantissimo nella creatività, perché altrimenti a Berlino t’ammazzi, hai mai fatto una passeggiata vicino a quei palazzi grigi? Qui siamo circondati dalla bellezza, e siamo una città molto meridionale rispetto ad altri contesti del nord Italia. In qualche modo siamo una città del sud, siamo gente di sole.
AM: Noi ce ne accorgiamo, per esempio quando arrivano le vacanze Estive Torino è sempre stata una città dalla quale tutti scappano perché rimane sempre meno da fare. Servirebbe un modo per far rimanere gli studenti fuori sede, gli Erasmus e chi lavora. E i club potrebbero aiutare se solo fossero visti una risorsa, invece capita di sentirsi parte di un settore che deve essere quasi contenuto, sopportato. Poi quando c’è un problema si fa di tutto l’erba un fascio, se pensi al problema dello spray al peperoncino, a Torino qualche volta è stato utilizzato nei club e per fortuna la situazione è stata gestita in maniera professionale, dopo la tragedia di Ancona ci siamo sentiti additare come dei criminali, quando in realtà la maggior parte dei gestori devono sottostare a regole molto stringenti e i club dovrebbero essere riconosciuti come degli spazi professionali e sicuri.
CF Sono d’accordo il club è un sistema complesso che comunica con il resto della città, ed è nostro compito fare in modo che questo contesto sia un’esperienza di crescita e potenziamento collettivo.
SP: La discoteca ha dei meccanismi che se usati bene creano un feeling incredibile, difficile da replicare in altri momenti. Negli anni abbiamo maltrattato il club, rovinandolo con bottiglie, tavoli e spettacoli, il club deve essere riorganizzato, ripensato, rivisto. Il party ha un valore positivo che è molto animale, immediato. E poi, il bacio dato in pista è il bacio migliore. Ah mi sono emozionato