>>> Intervista con Federico Kiko Calabrese, ex direttore artistico del Doctor Sax <<<
Doctor Sax è stato per molti anni riconosciuto come uno degli after più iconici d'Italia, con una storia che risale dalla fine degli anni 80.
CF: Ciao Kiko, raccontaci un po’ com’è nato il tuo rapporto con il Sax?
K: L’incontro col Doctor Sax è stato a dir poco unico e singolare. Non ero neanche ventenne, più o meno nel ’99. Mi ero trasferito da poco da Lione a Torino e già da anni seguivo la scena elettronica internazionale, quindi appena arrivato ho esplorato la città alla scoperta di luoghi che fossero vicini alle mie passioni. E fu lì che incontrai Valter e Nadia, soprattutto Nadia che alla prima volta che entrai nel club, mi cacciò e bandì per un mese in punizione. Colpa mia ovviamente :). Dopo pochi mesi ero dietro al bancone del Sax a far da bere ed entrai a far parte della famiglia Sax. Iniziò tutto così.
CF: Cosa succede al Sax negli anni in cui comincia ad esplodere la House negli anni ’90?
K: Al Sax fino alla fine degli anni novanta c’era un contesto black dedicato a sonorità reggae, rap e hip-hop. Poi è arrivato Simone Cordero insieme ad un gruppo di giovani torinesi uniti dalla stessa passione, ed è cambiato tutto. E’ stato lì che la progressive, la techno e la minimal hanno fatto breccia in molte persone grazie alla passione di questi pionieri. Simone aveva un’anima davvero umile e c’era un po’ quell’atmosfera fraterna con già diverse generazioni al suo interno, Andrea Frola, Titta, Step, Marcelo, Gambo, Lollino, Lukino, Gigio, e tanti tanti tanti altri. Ai Murazzi c’erano pochi locali, era il posto più underground che si potesse immaginare, luogo senza regole, terra di nessuno, paragonabile a contesti esteri come ne esistevano pochi al mondo. E’ in quel periodo che sono iniziati gli anni straordinari del Sax, con gli after che partivano alle 4 di mattina e non si sapeva a che ora finissero, anni in cui in quel posto c’era la miglior musica della città, anni in cui ospiti di caratura internazionale chiedevano di poter mettere anche loro 2 dischi in quel magico posto, anni continuati anche dopo la morte di Simone grazie all’impegno di tutti ma soprattutto di Daniel Perrone e Gambo, ai quali mi aggiunsi come promoter del club dopo gli anni passati dietro il bancone, per poi diventare unico direttore artistico dopo qualche anno.
CF: Com’erano le crew cittadine?
K:: C’erano poche crew che facessero elettronica non commerciale, ma la città era in fermento, quindi per chi cercasse qualcosa di alternativo c’erano pochissime possibilità, c’erano fiumi di alcool e droga, ma la vibe era molto happy. La Latin Superb Posse prima di tutte, poi i primi anni di Xplosiva, i Docks Dora, The Plug al Centralino, l’esplosione dei Murazzi, la scena rave e altre realtà che hanno dato tanto alla città in anni in cui la maggior parte delle persone stentava a capire l’importanza a livello sociale della scena elettronica.
CF: Com’era il tuo rapporto con la musica al Sax?
K: Era un rapporto privilegiato, perché a differenza degli altri locali il Doctor Sax ha sempre messo la Musica davanti a tutto. Mi sento fortunato ad aver vissuto quegli anni, le mie passioni coincidevano col mio lavoro. Niente è stato più lo stesso in città dopo l’arrivo dell’after del Sax. Ci potevi trovare dal “fighetto” appena uscito dalla situazione tavoli – cubiste – champagne all’appassionato di musica che non riusciva a sentire quei suoni da nessun’altra parte, dalle spogliarelliste che passavano a far fine serata a semplici persone che avevano trovato nel Doctor Sax il luogo per esprimersi, lasciarsi andare, divertirsi e ballare per ore senza pensieri.
i primi anni di Xplosiva, i Docks Dora, The Plug al Centralino, l’esplosione dei Murazzi, la scena rave e altre realtà che hanno dato tanto alla città in anni in cui la maggior parte delle persone stentava a capire l’importanza a livello sociale della scena elettronica
Cf: Com’era a quel tempo scoprire nuova musica e il ruolo del Dj?
K: Imparavi leggendo le riviste specializzate o dai racconti di chi viaggiava o dalle radio, internet iniziava a prendere piede in maniera massiccia, il dj aveva un valore come selezionatore, poche tecnologie e tanti vinili. Il Sax ha incarnato la naturale espressione delle contaminazioni che nascevano tra diversi stili musicali, dall’house al french touch, dalla progressive all’electro post punk, dalla techno di Detroit al minimal tedesca. Ha espresso e fatto sua la straordinaria energia di quegli anni che hanno segnato profondamente la storia della musica.
CF: Come mai club come il Doctor Sax hanno sempre faticato a farsi riconoscere come culturali?
K:Il nostro approccio culturale è sbagliato, perché siamo un popolo ignorante e poco aperto al diverso, nonostante Torino sia sempre stata una città con uno spirito artistico, creativo e intellettuale enorme. Se fa cultura andare ad ascoltare musica da camera perché non fa cultura un ragazzo che viene a ballare ed ascoltare musica elettronica? Il Sax sarebbe da tenere come una reliquia. Abbiamo una lunghissima storia di grandi artisti, poeti maledetti, scrittori; se quelle produzioni sono considerate ora come massime espressioni di cultura, perché il mondo del clubbing non lo può essere? Magari dopo 50 anni diventa cultura, magari ci vuole solo tempo. Una cosa che è sempre mancata è l’investimento sulla creatività, qui non lo fa nessuno a livello pubblico, non lo fa nessuno a livello privato.
CF: Com’era il rapporto tra il pubblico e il Sax?
K: Il Sax è sempre stato una famiglia, qualsiasi persona non era un cliente ma parte di un gruppo. Anche gli stranieri che venivano ci dicevano “che posto incredibile”, perché è un posto che mette d’accordo tutti, dal Sud-americano al Norvegese, dall’Islandese al Giapponese, da Mirafiori a Falchera. Ci sarà sempre bisogno di club come il Doctor Sax, perché solo nei posti piccoli puoi creare queste fiammelle di gioia ed emozione all’interno di una serata, che magari durano anche solo mezz’ora, ma che sono un dono del destino. Nel Sax si difendeva il diritto all’ozio, andare lì perdendo quella rigidità e fissità mentale che uno si porta dietro magari nel quotidiano. Come ha detto molto bene Johnson Righeira “io al Sax non ci sono mai andato, ci sono sempre finito”. Il Sax è un po’ quella cosa lì.
Il Sax è sempre stato una famiglia, qualsiasi persona non era un cliente ma parte di un gruppo.
CF: Penso che ci sia il bisogno di lottare un po’ contro la diffidenza, nei club piccoli anche se non ci si conosce ci si fida di chi sta condividendo lo spazio con te, come fa la musica
K: La musica è un’arte, esiste perché uno ne ha bisogno, per un desiderio di comunicare, di sentirsi parte di qualcosa e non isolarsi. Ora mi sembra che le cose stiano cambiando, mi sembra che ci sia un problema di aggregazione, si sta molto di più come tante isole dentro un oceano, anche nei locali. Anche nei festival sta succedendo lo stesso, il denaro ci sta rovinando, vince il marketing e ora vai al festival non per cercare quella liberazione originaria, ora vai lì perché è cool, perché vuoi sentire gli artisti che fanno successo e farlo sapere agli altri. Al Sax erano gli stessi dj artisti internazionali a chiedermi di venire a mettere 2 dischi dopo aver finito di esibirsi in altri club. Nonostante fossero ben pagati da altre parti e con pubblici più numerosi, l’energia di quel dancefloor non te la dava nessun altro posto. Si è un po’ persa la rotta e per tracciare una rotta devi sapere da dove vieni, anche se non sai dove vai. Il mio lavoro l’ho sempre interpretato così, fatto con passione, provando a tracciare nuove rotte ed unire le persone