>>> Intervista con Fabrizio Gargarone, direttore artistico di Hiroshima Mon Amour <<<
Hiroshima Mon Amour dagli anni '80 è uno degli spazi più attivi nella scena musicale Italiana.
CF: Hiroshima Mon Amour, dagli anni 80 ad ora. Quali sono state le tappe fondamentali di questo percorso?
FG: Quando Hiroshima ha aperto a Torino c’era poco. Un po’ di birrerie, qualche club ma non esisteva niente che assomigliasse a un posto come quello fondato da un sacco di gente che si occupava di arte e politica e società a 360°. Hiroshima è sempre stata a cavallo tra un locale normale e un centro sociale, un ibrido in qualche modo con alcuni valori che nel tempo sono rimasti costanti. La capacità di vedere appena più avanti. Diciamo orbi in un mondo di ciechi. Le tappe, o cambiamenti, non ce li ha mai imposti il mercato ma le regole e il loro inasprirsi nelle applicazioni ottuse. Hiroshima, allora circolo privato, il più grande di Torino, venne chiuso nei fatti per disturbo alla quiete pubblica e per una politica di cancellazione dei circoli, visti come un trucco per non pagare le tasse. Cosa che invece noi facevamo regolarmente dalla fondazione esattamente come un locale pubblico. La nostra chiusura significò colpirne uno per educarne cento: e tutti i portafogli dei ragazzi torinesi che erano grandi come mattoni per via delle tessere di tutti i locali tornarono a dimensioni più contenute. Finirono i locali a tessera e finirono i soldi per via della crisi mondiale in cui siamo ancora oggi. Un altro mondo insomma. Poi l’apertura in Via Bossoli, poi l’aumento delle norme restrittive e così via fino alla trasformazione in impresa matura. E qui potremmo aprire un altro discorso.
CF: Torino negli ultimi trent’anni com’è cambiata e in che momento siamo adesso?
FG: Io sto a Torino più o meno da trent’anni. Era una città strana, piuttosto cupa, abbastanza sporca con la gente che si faceva le pere per strada. Ma con un’energia pazzesca che avrebbe poi generato la grande onda della nuova scena musicale italiana. Oggi è una città strana, piuttosto allegra, abbastanza pulita con la gente che si fa meno le pere in strada ma pippa in macchina o in casa. Senza energia, banale, pallosa. Conforme. È ancora viva solo perchè ci sono persone ostinate, spesso invisibili ma seminali che continuano a portare avanti una certa “torinesità” positiva e in qualche modo antagonista, una voglia di sperimentare non per ottenere chissà quale successo ma per il puro piacere di farlo. E se accadrà qualcosa accadrà.
CF: Hiroshima e le persone che ci sono dietro, cos’è che ha tenuto insieme il progetto per così tanti anni?
FG:: Il fatto che siamo innamorati di questo lavoro. I club, anche di grandissimo successo hanno vite medie brevi. Perché questo è un lavoro che non si esaurisce in due intuizioni o in una passione ma richiede una disciplina. L’allenamento che aiuta la fortuna oltre alla capacità e la voglia di essere sempre un passo avanti. Quando anche solo uno di noi diciamo storici lascerà, il giocattolo sarà rotto. Sai, ci vediamo ogni giorno da 25 anni. Abbiamo affrontato qualsiasi crisi, trasformazione mantenendo sempre un ruolo importante nel panorama nazionale. Abbiamo perso tutto diverse volte e ci siamo sempre rialzati. È il gusto per la sfida che ti fa andare avanti spesso. E fino a oggi non ci è mai mancato. Ma la sfida mica è con gli altri è con noi stessi.
"Il club come lo intende l’intento nobile della tua domanda oggi non esiste quasi più perché il pubblico è cambiato"
CF Hiroshima Mon Amour è uno dei music club più importanti a Torino con una programmazione che spazia a livello di generi e discipline. Quali sono le competenze necessario perché tutto stia in piedi?
FG: Il tutto sta in piedi se capisci che sei in un mercato. Non sei nella tua cameretta o con gli amici al mare, quindi devi avere gli strumenti basilari del mercato discografico, dei management, delle agenzie. Insomma devi conoscere non solo i players ma i meccanismi che regolano questi rapporti. Devi essere innanzitutto umile, avere la capacità di mettere da parte i tuoi gusti personali e metterli in relazione con un tutto. Questo ovviamente se vuoi essere sul mercato in un certo modo, ovvero poter dialogare con tutti, a partire dal pubblico, in modo credibile e solido. Poi, bisogna sapere che il nostro lavoro, dal punto di vista pratico è estremamente codificato e quei codici li puoi avere solo se lavori sul campo. Nessuna scuola potrà mai prepararti alla complessità di un grande evento live, ad esempio, dove un rider tecnico passa le 100 (cento) pagine normalmente, in cui ogni riga rappresenta una domanda a cui bisogna saper rispondere a tempo zero.
CF: Hiroshima è stato anche catalizzatore di progetti paralleli, professionalità legate a Hiroshima si sono poi trasferite in altri momenti come Traffic, Flowers festival, qual’è il ruolo di un club per lo sviluppo del contesto creativo urbano?
FG: Il club come lo intende l’intento nobile della tua domanda oggi non esiste quasi più perché il pubblico è cambiato. Per me è involuto e imbarbarito ma ognuno la vede come vuole, c’è spazio per tutti. È un pubblico banale e ignorante a cui non frega un cazzo se Coez suona all’Hiroshima o al bar Norman o alle OGR. Deve vedere Coez e va bene così. Così come a Coez non frega un cazzo se suona all’Hiroshima o al bar Norman o alle OGR se i soldi sono ok. Oggi è appunto tutto più banale e noioso. In fondo superficiale. Credo che l’unica strada percorribile ( e che fino a oggi non ho mai percorso perché roba grossa e molto complessa) oggi sia quella delle residenze artistiche, in cui gli artisti vivono davvero nel club h24. Sono il club. Producono. La programmazione oggi è solo una piccola parte, non la più importante. In gioco entrano altri fattori: mobilità, sostenibilità, esperienza etc. Ma se noi hai la residenza artistica è tutto più complesso. Il vero segreto del clubbing anni 90 in tutta italia è che gli artisti nel loro locale di riferimento praticamente ci vivevano. Passavano tutti i giorni dal lunedì alla domenica, incontravano altri artisti, si sbronzavano, creavano. I club di Torino anni 90 erano vere residenze artistiche...
"Devi essere innanzitutto umile, avere la capacità di mettere da parte i tuoi gusti personali e metterli in relazione con un tutto."
CF: Come vorrebbe essere l’Hiroshima del futuro?
FG: Boh. Sai, se guardi superficialmente i numeri di amici digitali siamo in 150.000. Tanti? Ma no. Un paio di smanettoni seri o se preferisci media manager svegli fanno i numeri per fare i soldi. La domanda è esattamente questa. Ma io faccio questo lavoro da una vita per fare i soldi con dei big data del cazzo? Non penso proprio. Hiroshima del futuro, nella mia visione, è un luogo in cui si ritrovano persone coscienti del luogo e del momento in cui vivono e abbiano una visione ampia. Diciamo: il basket è figo e il calcio è figo. Di solito chi segue uno non segue l’altro. Ecco, vorrei un posto in cui si parla di sport, in cui si abbia una visione complessa e non semplificata così come serve oggi al marketing (e a quello web in particolare). Siamo arrivati a paradossi per cui uno è fanatico di una certa elettronica e uno di un’altra senza porsi nessuna domanda sulla cultura digitale. Se uno non capisce che il lavoro di chi fa marketing oggi si basa sulle estremizzazioni delle differenze per ottenere il massimo del profitto, è fuori strada. Ecco, l’Hiroshima del futuro per me deve essere un luogo in cui cose apparentemente diverse si ricongiungono e restituiscono un senso.