>>> Intervista con Marco Basiletti, direttore artistico di Spazio 211 e Andrea Terzuolo, attuale presidente dell'associazione Spazi Musicali <<<
Spazio 211 è attivo dal 2005 all'interno di Parco Sempione, periferia nord di Torino. Una realtà di rigenerazione culturale con una chiara linea musicale
CF: Ciao Marco, Spazio 211 e il quartiere di Barriera di Milano, come nasce questa relazione?
MB: Prima dello spazio, nasce l'associazione Spazi Musicali nel 1995; poi di fatto nel 2000 a Roberto Doneti, primo Presidente dell'associazione, insieme ad altri giovani viene dato una parte di questa struttura in condivisione con il centro anziani. Poi arrivò Gianluca Gozzi che è rimasto poi il presidente più longevo e si sono iniziate a costruire quelle che sono ancora tutt'oggi le sale prova nel piano seminterrato
CF: Perché avete deciso di trovare in quest’area la sede della vostra associazione?
MB: L’idea era quella di abitare una porzione di parco (Parco Sempione) che per anni, ma in parte ancora adesso, è stato un'area con delle problematiche legate a consumo di droghe, spaccio etc. Un parco molto bello, tenuto abbastanza male. Ed essendo questa una struttura del Comune, a livello istituzionale c'era l'intenzione di attivare i giovani del territorio per provare a risolvere alcune di quelle problematiche.
CF: Quindi di fatto una prima opera di riqualificazione di quest’area…
MB:: Esattamente, io sono arrivato intorno al 2003/4 come fruitore delle sale prova e d'estate si iniziavano a fare questi piccoli eventi/festival nella parte all’aperto e, visto che non avevo un gran che di soldi, chiesi a Gozzi se ci fosse il modo di vedere i concerti senza pagare. E lui mi rispose: “sai tenere una scopa in mano?”. Così è iniziata la mia esperienza a Spazio 211.
MB: Il primo punto di svolta è stato nel 2005: la condivisione tra i giovani e gli anziani si faceva sempre più ostica. C' era una sala da ballo fondamentalmente ad uso esclusivo degli anziani e a un certo punto ci siamo inventati delle prime serate alle sei di pomeriggio del sabato, subito dopo che gli anziani erano andati via: smontavamo tutte le porte del locale per creare uno spazio unico, ci portavano dentro una consolle per fare i primi eventi con musica lounge, improntate sui colori con un bar modulare fatto di materiali riciclati. Poi a un certo punto non ci bastava più e abbiamo cominciato a fare dei veri e propri concerti live e vedevamo che la cosa poteva funzionare. Abbiamo deciso che doveva nascere uno spazio dedicato alla musica, ed è iniziata la trafila per far spostare gli anziani in un posto dedicato a loro.
MM:: Ti ricordi quando abbiamo dormito qua mentre si ristrutturava tutto lo spazio? Avevamo un televisorino, mazze da baseball, le macerie ovunque e la porta aperta. Cioè in realtà non è che proprio si potesse chiamare "porta".
MB: E poi Ottobre 2005 inaugurazione di Spazio 211: il primo anno si è andato abbastanza forte sotto la direzione di Gianluca Gozzi, che era anche musicista, batterista e suonava in questo gruppo che si chiamava Boys Next Door. Al tempo probabilmente El Paso faceva cose simili, anche Hiroshima, ma non avevo troppo la visione di andare a vedere cosa c'era da altre parti , la nostra linea era molto precisa e il pubblico rispondeva bene.
Cf: Chi erano i frequentatori di Spazio?
MB: Negli anni ci sono stati eventi con artisti di livello più internazionale che hanno richiamato gente da Milano, Genova, fino a Roma alle volte; la forza di Spazio è stata quella di avere un filone esterofilo, 80% delle band arrivavano dall'estero e per me era una continua scoperta. Alle volte sono passati di qua dei gruppi stranieri assolutamente sconosciuti, diventati poi super pop, dagli Editors dieci anni fa, piuttosto che i Vampire Weekend che quando hanno suonato a Spazio hanno fatto da spalla. Poi negli anni abbiamo iniziato a fare anche eventi in collaborazione con altre associazioni, allargando così il bacino di pubblico; la cosa importante è che vengano proposti progetti originali e non tribute/cover bands: la nostra filosofia è sempre stata quella di dare spazio a chi non ne ha e storicamente le cover band hanno sempre avuto dei loro circuiti di live; abbiamo sempre cercato di raccogliere inglobare di contaminazioni e negli anni sono nati diversi festival: Spaziale, il No Fest, Radio Blackout, tutto abbastanza diy come approccio.
CF: Com’è stato per te stare in contatto con così tanti artisti stranieri nei tuoi primi anni di attività?
MB: A Spazio vedevo questi artisti stranieri che spesso erano dei tipi abbastanza grezzi, non gliene fregava un cazzo di avere l'impianto perfetto piuttosto che il ristorante a 4 stelle, volevano solo prendere la chitarra alzando a palla l’amplificatore e spaccare. Mi è sempre sembrato che gli artisti esteri arrivassero da una gavetta molto intensa, suonavano in qualsiasi condizione. Ultimamente vedo sempre più spesso artisti Italiani salire su grandi palchi pompati da operazioni di marketing e promozione importanti che li portano a fare buoni numeri anche senza aver fatto gavetta, aver prima affrontato dinamiche di palco, il pubblico e le relative problematiche: è ovvio che poi la qualità si abbassi. Invece ci sono band che si costruiscono in maniera più organica e meno dopata, ti faccio un esempio virtuoso, gli Ex Otago hanno suonato 7 volte qui, hanno fatto un percorso maturo.
CF: È anche cambiato il modo di fruire la musica…
MB: Sì, sono un po' cambiati anche i trend, internet si è sviluppato dal 2000 ad oggi, ora hai tutto a portata di mano, e si ha meno la curiosità di andare a sentire qualcosa di sconosciuto, tutte le informazioni per capire se il progetto ti piace o meno le trovi in rete e tendenzialmente oggi vai a sentire qualcosa di cui sei già sicuro, hai già fatto le valutazioni guardando youtube, spotify. Le next big things le scegli su internet, una specie di votazione, dove è l’utente che ha i mezzi diretti per valutare e decidere. E questa cosa si riflette anche nella politica, vedi il movimento 5 Stelle. Ad oggi è molto più difficile portare una band straniera, l’Italia non è un mercato importante, abbiamo budget sicuramente inferiori rispetto ad altri paesi in cui l’industria musicale è più sviluppata ed è riconosciuta come culturale, e non solo come divertimento e intrattenimento.
"Alle volte sono passati di qua dei gruppi stranieri assolutamente sconosciuti, diventati poi super pop, dagli Editors dieci anni fa piuttosto che i Vampire Weekend che quando hanno suonato a Spazio hanno fatto da spalla."
CF: Anche i club più dance un tempo avevano la funzione di far scoprire nuova musica, il DJ spesso aveva la musica più recente e andando nei club potevi sentire i suoni del futuro; forse quello si è un po’ perso, ma è interessante ragionare a quale può essere la funzione dei club oggi. A livello sociale ad esempio, Spazio 211 che rapporto ha con il quartiere?
MB: La parte associativa è quella più legata storicamente al servizio di sale prova, ma negli anni è stato fatto un po' di tutto, come i corsi di musica, la house rock con Roberto Bovolenta (Amici di Roland, Mao e la Rivoluzione) e vedevi i bambini di 8 anni che al saggio suonano gli Stones. Prima era un po’ più facile per noi avere del ricambio di pubblico, i ragazzi che usavano le sale prova magari uscendo si beccavano un sound-check e si fermavano al concerto. Negli anni i ragazzi che dal doposcuola vengono qui con l’intenzione di fare una band sono sempre meno. Se ti ricordi Pagella Non Solo Rock tempo faceva la finale nel palazzetto al Palaruffini, c’erano le fazioni tra le varie scuole. Da Pagella Non Solo rock sono uscite delle buone band, ora il modo di approcciarsi a questo tipo di musica è cambiato.
"tendenzialmente oggi vai a sentire qualcosa di cui sei già sicuro, hai già fatto le valutazioni guardando youtube, spotify. Le next big things le scegli su internet"
CF: E invece cosa vorreste che ci fosse a livello di rapporto con le istituzioni per andare avanti?
AT: Sicuramente da un punto di vista di regolamenti e leggi, dovremmo essere meno imbrigliati a livello di rapporti lavorativi, contratti, visto che siamo un’associazione culturale. Lo spazio ha una mission diversa rispetto a quella di un locale prettamente commerciale. Sarebbe bello essere riconosciuti per la propria mission, che è quella di fare cultura. Quando ci prepariamo a produrre un festival si ha ancora la percezione di essere considerati solamente come dei venditori di alcool, o come una criticità da arginare piuttosto che una risorsa. Ma noi non siamo così, altrimenti avremmo aperto un pub e avremmo avuto meno rotture di palle.
MB: È assurdo che non si faccia distinzione tra chi fa cultura e chi invece ha un’attività commerciale, tanti vedono questo settore come intrattenimento e i lavoratori non vengono riconosciuti, neanche a livello di formazione: non esiste ancora un pezzo di carta che possa certificare le competenze di un direttore artistico, stage manager, tour manager, tecnico del suono, etc. A livello di formazione siamo molto indietro, ci sono pochissime istituti/corsi (Saluzzo, Milano) mentre nel resto d’Europa c’è la lista dei corsi per imparare determinati ruoli.
AT: E poi c’è la questione dei contributi pubblici, un Festival come Spaziale è nato grazie anche al contributo di bandi pubblici, le istituzioni erano in un certo senso molto più presenti. Ora di bandi ce ne sono molto meno, i pagamenti si sono dilatati. La burocrazia è cambiata negli anni e con i propri fondi diventa sempre più difficile riuscire a mantenere la struttura e una qualità alta. Ora ti senti proprio di essere nell’occhio del ciclone.
MB: Mi piace paragonare questo tipo di attività ad un mestiere artigianale, si è molto pratici, cerchi di inventarti tutto insieme ai tuoi collaboratori per poi trasmetterlo ai nuovi arrivati. Ed è uno di quei mestieri che si stanno un po’ perdendo, le nuove generazioni forse hanno questa sensazione che tutto sia precario, e non se la sentono neanche di rischiare di perdere tempo facendo qualcosa che li allontani da un percorso “più sicuro” a livello di lavoro e carriera. E se dalle istituzioni passa il messaggio che tutto è molto complesso, i giovani che non sono ancora strutturati non se la sentono di lanciarsi. Noi ce la mettiamo tutta per invogliare i giovani ad affezionarsi alla musica, a questo settore, a vivere lo spazio.
CF: Già sarebbe bello che Spazio 211 continuasse ad attivare il territorio attraverso la musica, incubando nuovi talenti e professionisti e che gli fosse riconosciuto questo ruolo
"Lo spazio ha una mission diversa rispetto a quella di un locale prettamente commerciale.
Sarebbe bello essere riconosciuti per la propria mission, che è quella di fare cultura."